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INIDONEITA' DEL LAVORATORE E LICENZIAMENTO
     
  Come più volte affermato nella Cassazione: "è' illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore a seguito di sopravvenuta inidoneità fisica o psichica a svolgere le mansioni affidategli, allorché il datore di lavoro, cui incombe il relativo onere, non provi l’impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti e compatibili con le residue capacità lavorative, sempre che il rinvenimento di idonee mansioni non debba comportare una modifica dell’assetto organizzativo aziendale".

Il licenziamento può essere legittimo solo se il datore di lavoro offre documentazione specifica che attesti la inidoneità stessa e dia prova di aver valutato correttamente la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili"
- Trib. Ravenna 29/10/2007, ord., Giud. Riverso, in Lav. nella giur. 2008
- Cass. sent. n. 3040 del 8.2.2011; Cass. sent. n. 7046 del 28.3.2011; Cass. sent. n. 23222 del 17.11.2010; Cass. sent. n. 7381 del 26.3.2010
- cassazione sezione lavoro n. 10914 del 24/05/2005.

In caso di infortunio, l'art. 4, comma 1 della L. n. 68/1999 prevede che, in caso di inidoneità intervenuta per infortunio sul lavoro o malattia professionale, l'infortunio o la malattia non possono costituire giustificato motivo di licenziamento quando i lavoratori possano essere addetti a mansioni equivalenti ovvero, mancando quelle, perfino inferiori alle ultime svolte. Da ciò ne deriva l'obbligo del datore di lavoro di cercare nell'ambito dell'attività aziendale una ricollocazione adeguata alle attuali condizioni di salute del lavoratore divenuto suo malgrado inidoneo alla mansione specifica e solo laddove si sia provveduto alla ricerca in modo del tutto corretto ed equo, qualora questa non abbia esito positivo sarà possibile ricorrere come rimedio inevitabile al licenziamento del lavoratore.
 
     
 
 
Caduta al supermercato: lesioni colpose aggravate per il direttore che non segnala il pavimento bagnato
     
  Va condannato per lesioni colpose aggravate e per aver violato le norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro, il direttore del supermercato che ha omesso di segnalare il pavimento bagnato, causando così la caduta e il ferimento di un cliente.
Vanno considerati destinatari delle misure di prevenzione anche i terzi che si trovano esposti al pericolo derivante dall'attività lavorativa svolta da altri nell'ambiente di lavoro.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione quarta penale, nella sentenza n. 31521/2016, che ha accolto il ricorso promosso dal Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Venezia avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace ha dichiarato non doversi procedere per mancanza di querela nei confronti del direttore di un supermercato, imputato del delitto di lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro, per essere il reato ascritto estinto per intervenuta remissione di querela.
L'imputato, direttore del supermercato, è accusato di aver, per colpa, imprudenza, imperizia e negligenza, omesso di segnalare opportunamente all'interno del predetto supermercato un tratto di pavimentazione bagnata non visibile, causando la rovinosa caduta a terra di un cliente che transitava a piedi su quel tratto e cagionava a quest'ultimo lesioni personali.
 
     
 
 
Mascherine con filtro antipolvere
     
  Classi antipolvere
Le norme europee di riferimento per i respiratori antipolvere sono la EN 149:2001 per i
facciali filtranti antipolvere e la EN 143:2000 per i filtri antipolvere.
Queste norme definiscono 3 diverse classi di protezione ad efficienza filtrante totale
crescente:
Classe Efficienza filtrante totale minima
FFP1 / P1 78 %
FFP2 / P2 92 %
FFP3 / P3 98 %

Si ricorda:
• le particelle > a 5 micron vengono bloccate dal filtro nasale
• le particelle tra 0.5 e 5 micron arrivano nei bronchioli respiratori e nell’interstizio
polmonare
• le particelle < a 0.5 micron raggiungono gli alveoli
 
     
 
 
calzature di sicurezza
     
  Le calzature che rientrano nella norma EN ISO 20345 sono contraddistinte dalla lettera S (safety = sicurezza).
Per individuare la categoria di protezione, la lettera S è seguita da lettere e/o numeri come da indicazione sottostante:
SB Requisiti minimi:

- Puntale con resistenza a 200 joule
- Tomaia in pelle crosta o similare
- Altezza minima della tomaia
- Resistenza della suola agli idrocarburi

S1 Caratteristiche SB integrate da:
- Antistaticità (A)
- Assorbimento d'energia nella zona del tallone (E)
- Calzatura chiusa posteriormente
- Suola antisciviolo

S2 Caratteristiche S1 integrate da:
- Impermeabilità della tomaia (WRU)

S3 Caratteristiche S2 integrate da:
- Lamina antiperforazione (P)
- Suola scolpita o tassellata

S4 Caratteristiche S1 integrate da:
- Resistenza agli idrocarburi (ORO)

S5 Caratteristiche S4 integrate da:
- Lamina antiperforazione (P)
- Suola scolpita o tassellata
 
     
 
 
Responsabilità del preposto
     
  Non può sfuggire alle sue responsabilità il preposto che, avendo il potere di ordinare un tipo di lavoro non controlli, che questo sia compiuto secondo le norme antinfortunistiche.

In caso contrario verrebbe meno un anello della catena organizzativa, essendo impossibile per chi non si trovi sul posto di lavoro effettuare tale controllo che costituisce una delle attività più importanti tra quelle dirette ad evitare gli infortuni” (Cassazione Penale, Sez. 4, 21 aprile 2006, n. 14192).
 
     
 
 
il Preposto e il concetto di sovraintendere
     
  La giurisprudenza  di legittimità ha identificato il preposto con "colui che sovraintende a determinate attività produttive o più esattamente svolge funzioni di immediata supervisione e di diretto controllo sull’esecuzione delle prestazioni lavorative.

La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, attribuito al preposto compiti di vigilanza sull'attività dei lavoratori e sull'uso delle misure di sicurezza o dei D.PI (cd. vigilanza passiva), la titolarità del potere di intervento in funzione del rispetto delle regole di sicurezza", (Cass. pen., Sez. IV, 21 aprile 2006, n. 14192), nonché l'obbligo informativo o di segnalazione sulle necessità di tutela della salute e della sicu­rezza dei lavoratori (cd. vigilanza attiva).

A differenza del datore di lavoro e del dirigente, ai quali la legge riconosce compiti di organizzazione e predisposizione delle misure di prevenzione, il preposto svolge esclusivamente un’attività di sorveglianza sulla osservanza della normativa in materia prevenzionale.
Non spetta quindi al preposto adottare misure di prevenzione, ma fare applicare quelle predisposte da altri intervenendo con le proprie direttive ad impartire le cautele da osservare.
 
     
 
 
LESIONI PERSONALI GRAVI E GRAVISSIME
     
  La lesione personale è grave:
1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;
2) se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo;
3) se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto deriva l'acceleramento del parto

La lesione personale gravissima:
1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;
2) la perdita di un senso;
3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;
4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;
5) l'aborto della persona offesa
 
     
 
 
LESIONI PERSONALI LIEVI E LIEVISSIME
     
  LESIONI PERSONALI LIEVISSIME
Sono espressamente disciplinate dal secondo comma e punite a querela della persona offesa, ove non superiori ai venti giorni e non in concorso con le circostanze aggravanti previste dagli artt. 583 e 585 c.c. o con le eccezioni indicate nel numero 1 e nell’ultima parte dell’art. 577 c.p.

LESIONI PERSONALI LIEVI
Le lesioni determinanti una malattia di durata compresa tra i 21 e i 40 giorni (altrimenti si ricadrebbe nelle ipotesi di cui all’art. 583 c.p.) e sono procedibili d’ufficio e sanzionate con la reclusione da tre mesi a tre anni
 
     
 
 
Rischio elettivo
     
  E' quello che può ritenersi determinato in base a scelte od impulsi meramente personali volontariamente posti in essere dal lavoratore, il quale ha dato vita ad una situazione diversa da quella inerente alle mansioni affidategli e, comunque, estranea se non contraria alla metodologia ed alle direttive di lavoro impartite dal datore.

In buona sostanza, il “rischio elettivo” è quello che consegue ad una scelta personale e volontaria del lavoratore e, comunque, non richiesta od addirittura vietata dal datore di lavoro
 
     
 
 
Condotta dolosa del lavoratore
     
  La condotta dolosa, ovvero quella conseguente ad una coscienza e volontà di conseguire un obiettivo illecito (ad esempio autolesionismo del prestatore d’opera per conseguire il corrispettivo dell’assicurazione), esclude nel modo più assoluto l’indennizzabilità dell’infortunio.

I giudici di legittimità hanno a più riprese affermato che tale genere di rischio si connota per il simultaneo concorso dei seguenti elementi:
a) presenza di un atto non solo volontario, ma anche abnorme, nel senso di arbitrario ed estraneo alle finalità produttive;
b) direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali, quali non possono qualificarsi le iniziative, pur incongrue ed anche contrarie alle direttive del datore di lavoro, ma motivate da finalità produttive; c) mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass. 2.10.2009, n. 21113).
 
     
 
 
Condotta colposa del lavoratore
     
  La condotta colposa del lavoratore è quella che consegue all’imprudenza, alla negligenza ed all’imperizia del lavoratore medesimo.
In tal caso la giurisprudenza ha riconosciuto come appartenenti al rischio assicurato anche gli eventi conseguenti ad imprudenza, negligenza ed imperizia atteso che la condotta del lavoratore è, comunque, inerente alla prestazione lavorativa richiestagli, ovvero è posta in essere in connessione con lo svolgimento dell’attività cui il lavoratore è preposto
Imperizia: insufficiente attitudine a svolgere un’attività che richiede specifiche conoscenze di regole scientifiche e tecniche dettate dalla scienza e dall’esperienza, pertanto identificabile con una preparazione insufficiente, assenza di cognizioni fondamentali e indispensabili per l’esercizio della professione medica. Ovviamente legata al differente grado di qualificazione del soggetto ed ai caratteri con cui si manifesta la malattia, di assoluta normalità ed evidenza ovvero di caso eccezionale.
Imprudenza: insufficiente ponderazione di ciò che l’individuo è in grado di fare, violazione di un a regola di condotta, codificata o lasciata al giudizio del singolo, con obbligo di non realizzare una azione o di adottare, nell’eseguirla, precise cautele (medico che invece di indirizzare l’ammalato da una specialista esegua, senza averne le capacità, un intervento particolarmente impegnativo)
Negligenza: trascuratezza, mancanza di sollecitudine ovvero di un comportamento passivo che si traduce in una omissione di determinate precauzioni (medico che dimentica una garza o un ferro chirurgico nell’addome del paziente o non controlla la data di scadenza del farmaco usato)
 
     
 
 
CASSAZIONE PENALE: ASSOLUZIONE DI UN DATORE DI LAVORO E DI UN RSPP PER LA CADUTA DAL TETTO DI UN LAVORATORE
     
  Cassazione Penale, Sez. 4, sentenza del 3 marzo 2016 n. 8883. Caduta dal tetto del capannone. Assoluzione di un datore di lavoro e di un RSPP: tutte le cautele possibili da assumersi ex ante erano state assunte

Il lavoratore infortunato era un soggetto particolarmente esperto di sicurezza sul lavoro. Lo stesso decide incautamente di salire sul tetto per meglio posizionare i fili, percorre il tratto ricoperto da sottili lastre di eternit, che non reggono il peso, causando la caduta al suolo.
Il datore di lavoro aveva dotato il dipendente, esperto e formato in materia di sicurezza del lavoro, di tutti i presidi antinfortunistici e della strumentazione necessaria per effettuare il lavoro in sicurezza, analogo a quello che egli era chiamato a compiere da cinque anni. Potevano immaginare, il datore di lavoro e il responsabile per la sicurezza, che un soggetto così esperto non ponesse in essere il comportamento che ha cagionato l'incidente?
La risposte della Cassazione è che nessun rimprovero può muoversi ad entrambi i ricorrenti in un caso siffatto, in quanto gli stessi si sono legittimamente fidati della professionalità del soggetto cui aveva affidato il lavoro da compiersi.
La Corte Suprema ha reiteratamente affermato - e si ritiene di dover ribadire- che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cfr. ex multis questa sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321).
Tuttavia, quello che ci occupa è proprio un caso in cui tutte le cautele possibili da assumersi erano state assunte."
 
     
 
 
responsabilità del datore di lavoro. Cassazione Penale, Sez. 4, 02 dicembre 2015, n. 47742 - Ribaltamento del trabattello e caduta a terra del lavoratore.
     
  La Corte d'Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia in data 17 novembre 2010, appellata da C.M.. Questi era stato tratto a giudizio e condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 590, 1 e 3 comma cod. pen. per aver, in qualità di amministratore unico e responsabile tecnico della ditta "Pentagono Servizi S.r.l. Impianti Elettrici Unipersonale" esercente attività di installazione, ampliamento, trasformazione e manutenzione di impianti di produzione, trasporto, distribuzione ed utilizzazione dell'energia elettrica, cagionato al lavoratore C.C., dipendente della società suddetta, lesioni personali gravi consistenti nell'"ematoma epidurale traumatico", dalle quali derivava una malattia della durata di sessantaquattro giorni. Colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; in particolare per aver omesso di prendere le misure necessarie affinchè le attrezzature di lavoro fossero utilizzate correttamente; nello specifico, per non aver disposto e preteso che nessun operatore stazionasse sul piano in quota del trabattello, di fatto impiegato per portarsi in quota durante le operazioni di stesura di cavi elettrici suddette, durante gli spostamenti di tale attrezzatura da una postazione ad un'altra, stante il rischio di ribaltamento connesso a tale operazione. Cosicché mentre C.C. rimaneva posizionato sul piano in quota del ponteggio su ruote ed il collega O.P. spostava l'attrezzatura verso una nuova posizione di lavoro, spingendola manualmente, improvvisamente, a causa di uno spacco nel pavimento, il trabattello si ribaltava determinando la caduta a terra del C.C. che riportava così le sopradescritte conseguenze lesive.
Infatti al datore di lavoro è stato addebitato di aver autorizzato l'esecuzione di operazioni lavorative in altezza, senza premurarsi di controllare personalmente o a mezzo del preposto che le stesse avvenissero in sicurezza.
Quanto al comportamento del lavoratore, il ricorrente sostiene che il lavoratore avrebbe dovuto scendere dal trabattello e spostarlo per poi risalirvi in tutta sicurezza. Si tratta di affermazione avulsa dall'indicazione degli elementi di fatto sui quali si fonda, inidonea in quanto tale a mettere in luce la dedotta violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel ritenere che l’imputato, in quanto titolare dell'obbligo di protezione dell'Incolumità e della vita dei propri dipendenti, avrebbe dovuto comunque inibire quel comportamento e che la condotta del lavoratore non potesse ritenersi estranea alle mansioni alle quali era stato adibito.
Anche con riferimento a tale punto, la sentenza impugnata ha fatto buon governo del principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, in base al quale il sistema prevenzionistico mira a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, per cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (tra le altre, Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n.7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n.38877 del 29/09/2005, Fani, Rv. 232421), rimarcando come non fosse emersa alcuna estraneità del comportamento del lavoratore rispetto alle mansioni di fatto commessegli.
 
     
 
 
RISCHIO ELETTIVO E MANCATO INDENNIZZO IN CASO DI INFORTUNIO SUL LAVORO
     
  In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, il rischio elettivo viene configurato dalla giurisprudenza di legittimità come l'unico limite in grado di escludere l'occasione di lavoro e, dunque, l'indennizzabilità dell'evento dannoso, costituendo quest'ultimo, in tal caso, espressione non del rischio professionale assicurato, bensì di quello elettivamente posto in essere dall'assicurato.
Secondo la definizione ormai consolidata in giurisprudenza, per rischio elettivo si intende “quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento” (cfr., ex plurimis, Cass. 22.2.2012, n. 2642).
I giudici di legittimità hanno a più riprese affermato che tale genere di rischio si connota per il simultaneo concorso dei seguenti elementi: a) presenza di un atto non solo volontario, ma anche abnorme, nel senso di arbitrario ed estraneo alle finalità produttive; b) direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali, quali non possono qualificarsi le iniziative, pur incongrue ed anche contrarie alle direttive del datore di lavoro, ma motivate da finalità produttive; c) mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass. 2.10.2009, n. 21113).
Tali elementi caratterizzanti il rischio elettivo differenziano quest'ultimo dall'atto colpevole del lavoratore, il quale, invece, non esclude l'operatività dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, consistendo in un atto volontario del lavoratore stesso posto in essere con imprudenza, negligenza o imperizia, ma che, motivato comunque da finalità produttive, non vale ad interrompere il nesso fra l'infortunio e l'attività lavorativa (Cass. 18.5.2009, n. 11417).
 
     
 
 
Responsabilità penale dell'RSPP
     
  N. 19523 del 15/05/2008
Corte di Cassazione Penale
Sentenza Piccialli

Per un infortunio sul lavoro erano stati dichiarati colpevoli del delitto di lesione personale colposa sia il direttore tecnico delegato per la sicurezza di uno stabilimento, sia il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi..
Osserva che quanto detto non esclude che possa profilarsi lo spazio per una responsabilità del RSPP, che pure privo dei poteri decisionali e di spesa,e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio, può essere ritenuto responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione
 
     
 
 
LICENZIAMENTO LEGITTIMO DEL LAVORATORE
     
  Corte di Cassazione – Sentenza n. 5548/2010
Marzo 10, 2010 • Categoria Leggi e Sentenze Circolari
Incidente stradale causato da un lavoratore conducente un autoarticolato di servizio
Corte di Cassazione Sez. Lavoro - Sent. del 08.03.2010, n. 5548
Svolgimento del processo
Con sentenza non definitiva depositata il 27 ottobre 2003 e successiva sentenza definitiva depositata il 17 giugno 2005, la Corte d’appello di Roma ha riformato parzialmente la sentenza in data 27 aprile 1999, con la quale il giudice del lavoro della medesima città aveva rigettato le domande di R. D. V. nei confronti della propria ex datrice di lavoro (…) s.r.l., dirette ad ottenere l’annullamento del licenziamento in tronco comunicatogli in data (…), con le conseguenze di cui all’art. 18 S.L. e aveva parzialmente accolto la domanda svolta in via riconvenzionale dalla società, di risarcimento dei danni causatile dal dipendente a causa dell’incidente automobilistico occorsogli per negligenza e disattenzione con un autoarticolato di servizio.
La Corte territoriale ha infatti dichiarato legittimo il licenziamento impugnato siccome assistito da giustificato motivo soggettivo e non da giusta causa ed ha ridotto la condanna al risarcimento danni del lavoratore all’importo di euro 50.472,57, in luogo del maggior importo di lire 150.000.000 liquidato dal giudice di prime cure.
Con riguardo al licenziamento, i giudici dell’appello lo hanno infatti ritenuto fondato su di un giustificato motivo soggettivo, rappresentato dal fatto che il D. V., nel condurre un autoarticolato della società quale autista addetto a trasporti eccezionali, si era distratto dalla guida mentre percorreva in condizioni di tempo e luogo giudicate ottimali un tratto di autostrada e, non avvedendosi tempestivamente di un blocco del traffico su tutte le corsie, non era riuscito, pur frenando e tentando di effettuare una manovra di emergenza, a conservare il controllo dell’autoveicolo, che era entrato in collisione con un automezzo pesante fermo sull’autostrada, finendo fuori strada nel tentativo di effettuare una manovra di emergenza.
Infine, quanto alla condanna al risarcimento del danno conseguente all’incidente descritto, la Corte territoriale, dopo avere censurato la decisione del giudice di primo grado di liquidazione equitativa dello stesso, per difetto dei relativi presupposti, ha valutato che il danno da risarcire potesse essere determinato nella somma suddetta alla stregua delle risultanze istruttorie acquisite.
Per la cassazione di tale sentenza R. D. V. propone ricorso, affidato a tre motivi
 
     
 
 
Rifiuto di indossare i DPI e licenziamento
     
  Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 agosto 2013, n. 18615 - Rifiuto di indossare i necessari DPI e licenziamento
Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 agosto 2013, n. 18615 - Rifiuto di indossare i necessari DPI e licenziamento
Fatto
1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Gela, Di V. G. impugnava il licenziamento irrogatogli da C. Sud soc. coop. r.l. in data 11.09.07 per aver rifiutato di indossare i dispositivi di protezione individuale (DPI) obbligatori per l'accesso sul luogo di lavoro. Costituitasi in giudizio, la società datrice chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, chiedeva venisse accertata la legittimità di alcune sanzioni disciplinari irrogate prima del recesso.

2.- Rigettate entrambe le domande, proposto appello principale dal lavoratore e incidentale dal datore, la Corte d'appello di Caltanissetta con sentenza in data 2.11.10 rigettava l'impugnazione principale e dichiarava assorbita l'incidentale.

3.- La Corte osservava che la soc. C. Sud era incaricata dell'esecuzione dei lavori di manutenzione all'interno dello stabilimento della Raffineria di Gela s.p.a. e che l'accesso al cantiere era consentito solo ai lavoratori muniti dei DPI imposti dal d.lgs. n. 624 del 1994. Il Di V., che aveva il dovere di rendere la prestazione lavorativa con le modalità e nel rispetto delle disposizioni organizzative impartite dal datore di lavoro, ivi comprese quelle attinenti l'utilizzo dei DPI, in più occasioni aveva rifiutato di ricevere detti dispositivi, disattendendo le disposizioni impartite dal datore per la tutela della sicurezza del lavoro. Nonostante fossero state irrogate per tale motivo due sanzioni disciplinari conservative (in date 15.03.07 e 27.07.07), il Di V. aveva ulteriormente rifiutato di ottemperare ad un ordine di servizio del 27.07.07 che gli imponeva il ritiro dei DPI, di modo che il datore gli aveva inibito l'accesso al luogo di lavoro nei giorni dal 2 al 10.08.07 e il successivo 13.08.07 gli aveva contestato la violazione dei doveri a lui posti dalla normativa di sicurezza, dal codice disciplinare e dal rapporto di lavoro. Valutato il comportamento del lavoratore, il giudice riteneva che costui si fosse reso gravemente inadempiente e che, pertanto, il licenziamento era da ritenere legittimo.
 
     
 
 
LICENZIAMENTO DI UN LAVORATORE NON IDONEO
     
  Il datore di lavoro prima di licenziare il lavoratore divenuto fisicamente inidoneo alla mansione, deve cercare di impiegarlo in altra posizione, nell’ambito della propria organizzazione aziendale (c.d. obbligo di repechage).
L’art. 42 comma 1, del D. Lgs. 81 del 2008, stabilisce, infatti, che “Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”.
Di tale avviso è anche la giurisprudenza:
“In caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni lavorative, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare l’impossibilità di assegnare al lavoratore mansioni anche non equivalenti, a condizione che il lavoratore abbia, anche senza forme rituali, manifestato la propria disponibilità ad accettarle” (Cass. 6/3/2007 n. 5112; conf. Cass. 19/8/2009 n. 18387).
“È illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore a seguito di sopravvenuta inidoneità fisica o psichica a svolgere le mansioni affidategli, allorchè il datore di lavoro, cui incombe il relativo onere, non provi l’impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti e compatibili con le residue capacità lavorative, sempreché il rinvenimento di idonee mansioni non debba comportare una modifica dell’assetto organizzativo aziendale” (Trib. Firenze 4/7/2003).
E poiché il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è ammissibile solo quale extrema ratio, incombe al datore di lavoro, la prova dell’impossibilità di impiegare il dipendente licenziato in altro posto di lavoro, in mansioni anche diverse, e ove c’è disponibilità del lavoratore, anche di livello inferiore.
In ogni caso, il Tribunale del Lavoro di Perugia (ordinanza 7.03.2013) ritiene che il licenziamento del lavoratore fisicamente inidoneo, in regime di tutela dell’art. 18 L. 300/70, possa avvenire solo a seguito della procedura di conciliazione prevista dall’art. 7 L. 604/66:
“nella specie, dunque, ci si trova in presenza di un licenziamento certamente riconducibile alla categoria del giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 legge 604/1966; è a tale stregua che va infatti considerata l’ipotesi di sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni, posto che tale sopravvenienza, all’esito della impossibilità di repechage, si traduce nell’impossibilità dell’azienda di assorbire la prestazione lavorativa offerta (da ultimo, ad es. cass. L. 7531/2010, Trib. Milano 24.1.2012; nello stesso senso, se pure con valutazione certamente non vincolante per il giudice, l’indicazione della circolare 3/2013 del Min. Lav./D.G.A.I./ prodotta dal ricorrente;
ne consegue che, ai sensi dell’art. 7 legge 604/1966 nel testo novellato dall’art. 40 legge 92/2010 (applicabile ratione temporis, al presente licenziamento), il licenziamento doveva essere preceduto dalla comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro con le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 dal citato novellato articolo 7”.
Comunque, in base al nuovo art. 18 L. 300/70, l’omissione di tale procedura non rende invalido il licenziamento, ma comporta solo una sanzione indennitaria, e lo stesso Giudice ha quindi riconosciuto al lavoratore il massimo dell’indennità, ritenendo grave tale violazione formale:
“essendo stato tale incombente pacificamente omesso dalla resistente, ne conseguono gli effetti di cui al novellato art. 18 comma 5 e 6 St. Lav. e pertanto deve dichiararsi la risoluzione del rapporto di lavoro dalla data del licenziamento, con condanna del datore al pagamento di dodici mensilità dell’ultima retribuzione goduta; la misura massima dell’indennità deriva dalla gravità della violazione formale (radicale omissione della procedura)”.
 
     
 
 
I RISCHI DELLE STAMPANTI E FOTOCOPIATRICI
     
  SUVA MARZO 2012
Le polveri di toner emesse dalle stampanti con tecnologia laser e dalle fotocopiatrici
possono causare disturbi soprattutto nei soggetti con mucose ipersensibili nelle vie
respiratorie superiori e inferiori. In genere, le reazioni di ipersensibilità non specifiche dovute agli effetti irritativi di queste emissioni possono essere evitate migliorando l'igiene del posto di lavoro. Soltanto in casi rari sono state documentate delle vere e proprie allergie al toner. Gli studi epidemiologici non hanno stabilito relazioni causali certe fra queste emissioni e le malattie croniche dell'apparato respiratorio o le malattie polmonari interstiziali. In base ai risultati degli studi sperimentali e dei test sugli animali, non si esclude che le polveri di toner possano avere un effetto
cancerogeno. I dati attualmente disponibili non permettono tuttavia di trarre delle conclusioni definitive, soprattutto perché non sono ancora stati svolti degli studi epidemiologici sul rapporto tra l'esposizione a polveri di toner e un maggiore rischio di tumori maligni delle vie respiratorie. A titolo preventivo, la Suva consiglia delle misure di protezione generali per ridurre il rischio di esposizione alle polveri di toner e alle particelle ultrafini nonché delle misure specifiche per contrastare gli effetti di un'elevata esposizione, ad esempio in caso di guasto dell'apparecchiatura o durante le operazioni di manutenzione e riparazione.

Raccomandazioni della Suva
Misure generali
- Attenersi scrupolosamente alle istruzioni riportate nel manuale d'uso
- Collocare gli apparecchi in un locale ampio e ben ventilato
- Installare le apparecchiature di elevata potenza in un locale separato e installare
eventualmente un impianto di aspirazione locale
- Non direzionare le bocchette di scarico dell’aria verso le persone
- Eseguire regolarmente la manutenzione delle apparecchiature
- Optare per sistemi di toner chiusi
- Sostituire le cartucce del toner secondo le indicazioni del produttore e non forzare l'apertura
- Rimuovere con un panno umido le tracce di toner; lavare con acqua e sapone le parti
di pelle sporche di toner; in caso di contatto con gli occhi, lavare con acqua per 15 minuti; in caso di contatto con la bocca, sciacquare abbondantemente con acqua fredda.
Non utilizzare acqua calda o bollente, altrimenti il toner diventa appiccicoso
- Eliminare con molta cautela i fogli inceppati per non sollevare polvere
- Utilizzare guanti monouso per ricaricare il toner liquido o in polvere.
 
     
 
 
CARTELLONISTICA DI SICUREZZA
     
  Allegato XXV - Prescrizioni generali per i cartelli segnaletici

Cartelli di divieto:
- Caratteristiche intrinseche:
- forma rotonda;
- pittogramma nero su fondo bianco; bordo e banda (verso il basso da sinistra a destra lungo il simbolo, con un inclinazione di 45º rossi (il rosso deve coprire almeno il 35% della superficie del cartello)

Cartelli di avvertimento:
- Caratteristiche intrinseche:
- forma triangolare,
- pittogramma nero su fondo giallo; bordo nero il giallo deve coprire almeno il 50% della superficie del cartello.

Cartelli di prescrizione:
- Caratteristiche intrinseche:
- forma rotonda;
- pittogramma bianco su fondo azzurro; l'azzurro deve coprire almeno il 50% della superficie del cartello.


Cartelli di salvataggio:
- Caratteristiche intrinseche:
- forma quadrata o rettangolare;
- pittogramma bianco su fondo verde; il verde deve coprire almeno il 50% della superficie del cartello.

Cartelli per le attrezzature antincendio:
- Caratteristiche intrinseche:
- forma quadrata o rettangolare;
- pittogramma bianco su fondo rosso; il rosso deve coprire almeno il 50% della superficie del cartello
 
     
 
 
Attività soggette a CPI
     
  CERTIFICATO PREVENZIONE INCENDI


Le attività sottoposte al procedimento (CPI) sono:
- le attività con le caratteristiche previste dal D.M. 16 febbraio 1982 e successive modifiche ed integrazioni (art. 1 comma 4 D.P.R. 37/98).

- le aziende e le lavorazioni nelle quali si producono, si impiegano, si sviluppano e si detengono prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti (Tabella A - D.P.R. 689/59) (art. 2 Legge 966/65).

-le aziende e le lavorazioni che per dimensioni, ubicazione e altre ragioni presentano in caso di incendio gravi pericoli per l'incolumità dei lavoratori (Tabella B - D.P.R. 689/59) (art. 2 Legge 966/65).

La richiesta di rilascio del certificato di prevenzione incendi è subordinata all'ultimazione dei lavori in conformità alle prescrizioni del progetto approvato dal Comando di Vigili del Fuoco (Parere Conformità Antincendio).
 
     
 
 
Obblighi di sicurezza nei condomini
     
  Ai sensi dell'art. 3, comma 9, del d.lgs. n. 81/2008, nei confronti del lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari dei fabbricati trovano applicazione gli obblighi di informazione e di formazione di cui agli artt. 36 e 37.
Inoltre, sempre secondo la norma appena citata, ad essi devono essere forniti i necessari dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate.

Sul condominio come luogo di lavoro per il personale delle ditte appaltatrici la titolarità degli obblighi di sicurezza di cui al d.lgs. n. 81/2008 dipende dalla qualificabilità o meno del condominio come datore di lavoro.
Infatti, sul condominio in persona del suo legale rappresentante gravano gli obblighi previsti a carico del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori subordinati del condominio e, in caso di affidamento dei lavori all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, ai sensi dell'art. 26, la cooperazione e il coordinamento in merito all'attuazione delle misure di prevenzione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dei rischi cui sono esposti i lavoratori, con l'elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi (DUVRI) che indichi le misure adottate per eliminare o ridurre al minimo il rischio di interferenze, che deve essere allegato al contratto di appalto o di opera.
Tutti gli obblighi di sicurezza previsti nel citato decreto gravano sui datori di lavoro aventi sede operativa nell'edificio.
Diversamente, nel caso in cui il condominio commissioni, nella forma di contratto di appalto, lavori edili o di ingegneria civili ricadenti nel campo di applicazione del Titolo IV del d.lgs. n. 81/2008 sui cantieri mobili o temporanei, l'amministratore è necessariamente qualificato come committente e come tale assoggettato agli obblighi di cui agli artt. 88 e seguenti del medesimo testo normativo.

L'art. 26, comma 2, lett. b), prevede a carico dei datori di lavoro un obbligo di informazione reciproca anche al fine di eliminare rischi dovuti ad interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva, mentre, ai sensi del successivo comma 3 dell'articolo citato, le disposizioni riguardanti la redazione del DUVRI non si applicano ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Alla luce di quanto sopra, non è richiesta la produzione integrale della valutazione dei rischi ai fini della redazione del DUVRI da parte del legale rappresentante del condominio."
 
     
 
 
movimentazione manuale dei carichi
     
  Le società scientifiche si sono interessate della problematica specifica in cui si affrontava proprio la formulazione dei giudizi di idoneità al lavoro per soggetti, addetti alla movimentazione manuale dei carichi, portatori di patologie del rachide dorso-lombare.

Nello specifico si distinguono tre classi di patologie del rachide dorso - lombare sulla base della gravità:

a) Patologie gravi a carico del rachide dorso-lombare.
- Ernia discale in atto con compromissione radicolare,
- Ernia discale con protrusione senza interessamento radicolare,
- Ernia discale ridotta chirurgicamente,
- Stenosi del canale con compromissione radicolare,
- Spondilolistesi di 2° grado (scivolamento >25%),
- Sindrome di Klippel-Feil,
- Scoliosi importanti (almeno 30° Cobb con torsione di 2°),
- Morbo di Scheuermann con dorso curvo strutturato di circa 40° in presenza di
discopatia nel tratto lombare,
- Instabilità vertebrale grave (rilevabile in alcune patologie quali la spondilolistesi,
Klippel-Feil, discopatia, fratture che comportano uno scivolamento vertebrale
del 25%),
- Lesioni della struttura ossea e articolare di natura distruttiva o neoformativa
(osteoporosi grave, angioma vertebrale, ecc.),
- Spondilite anchilosante (e altre forme infiammatorie).

b) Patologie di media gravità a carico del rachide dorso-lombare.
- Scoliosi significative (20° Cobb con torsione 2; 30° Cobb con torsione 1+);
- Sindrome di Baastrup;
- Morbo di Scheuermann (presenza di dorso curvo strutturato);
- Sindrome di Klippel-Feil (anche una sola sinostosi);
- Spondilolistesi di 1° grado;
- Spondilolisi;
- Emisacralizzazione con pseudo articolazione;
- Stenosi del canale in assenza di segni neurologici;
- Discopatia lombare grave;
- Inversione lordosi lombare in presenza di discopatia;
- Instabilità vertebrale lievi (10-15% in presenza di alcune patologie).

c) Patologie di moderata gravità del rachide dorso-lombare (alterazioni di carattere funzionale).
- Spondiloartropatie dorsali o lombari con deficit funzionale
- Spondiloartropatie dorsali o lombari di media entità, accompagnate da
alterazioni morfologiche o degenerative (non già altrimenti considerate) del
rachide.

Per la movimentazione manuale dei carichi, infine, si ritiene opportuno fornire solo qualche accenno in merito alla valutazione clinico-funzionale del rachide da parte del medico competente. A tale riguardo, in occasione dell anamnesi, è necessario acquisire notizie relative alla postura assunta durante l'attività lavorativa, alla pratica di alcuni sport e, nel sesso femminile, alle eventuali gravidanze, al decorso delle stesse (incremento ponderale, eventuali disturbi alla colonna). L anamnesi inoltre indagherà se vi siano state fratture, se siano state diagnosticate ernie discali (in tale caso sarà opportuno precisare la localizzazione ed il tipo di terapia). Di particolare interesse sono anche i disturbi soggettivi (dolore, rigidità, parestesie, etc.) e, soprattutto, le notizie relative alla localizzazione, alla frequenza ed alle loro caratteristiche.


L esame obiettivo della colonna deve essere rivolto a ricercare:

- gli atteggiamenti posturali (sia durante la stazione eretta sia a rachide flesso);
- l eventuale dolorabilità della muscolatura paravertebrale;
- la funzionalità (inclinazione, rotazione, flessione, estensione) dei vari distretti del rachide;
- eventuali sofferenze radicolari per mezzo di manovre semeiologiche (Lasegue, Wassermann, etc.).

In alcuni casi il medico competente, per giungere ad una diagnosi clinica certa, può richiedere ulteriori indagini ovvero visite specialistiche particolari.

Conclusioni
In buona sostanza, quindi, a giudizio degli AA., nella formulazione del giudizio di idoneità si può seguire la seguente metodologia operativa:

- Nelle patologie di gravi entità movimentare un peso non superiore a 9 kg per il maschio e 8 kg per la femmina; la movimentazione deve essere occasionale con frequenza dei sollevamenti max di 1 volta ogni 5, per non più di 2 h nel turno lavorativo;

- Nelle patologie di media entità movimentare un peso non superiore a 15 kg nel maschio e 10 kg nella femmina; la frequenza di sollevamento consigliata è pari a 1 volta ogni 5 per max 4 h/die non continuative ;

- Nelle patologie di moderata entità le limitazioni sono analoghe a quelle descritte per le patologie di media entità, rendendosi opportuno un trattamento riabilitativo, durante il quale è opportuna la sospensione temporanea della movimentazione; dopo il trattamento riabilitativo sono consentiti i limiti previsti per la patologie di media entità.

Sorveglianza Sanitaria:
In prima ipotesi essa va attivata per tutti i soggetti esposti a condizioni di movimentazione manuale dei carichi in cui l'indice di movimentazione sia risultato, alla valutazione del rischio, superiore a 1.

L'effettiva periodicità (cadenza dei ricontrolli) andrà stabilita dal Medico Competente in funzione della valutazione del rischio medesimo e delle conoscenze relative allo stato di salute individuale e collettivo della popolazione seguita; è possibile per altro che il Medico Competente scelga di adottare periodicità differenziate per i singoli soggetti. In linea di massima tuttavia si può affermare che una periodicità triennale dovrebbe essere adeguata a monitorare soggetti esposti a condizioni di movimentazione manuale dei carichi con relativo indice compreso tra 1 e 3, d'età compresa tra i 18 e 45 anni.

Qualora l'indice fosse superiore, per il periodo necessario a ridurre il rischio lavorativo, sarà bene aumentare la frequenza dei controlli sanitari mirati (annuale - biennale).

Per i soggetti più giovani e per gli ultraquarantacinquenni la periodicità dei controlli dovrebbe di norma essere biennale
 
     
 
 
sovraccarico biomeccanico degli arti superiori
     
  I disordini muscolo-scheletrici possono essere provocati da vari fattori:
- l'alta frequenza dei movimenti ripetitivi;
- la forza applicata;
- l'incongruità delle posture assunte;
- i tempi di recupero inadeguati;
- la compressione delle strutture anatomiche;
- la presenza di esposizione a vibrazioni;
- gli strumenti di lavoro non ergonomici;
- l'uso di guanti.

Tra le professioni a rischio presunto di sovraccarico biomeccanico degli arti si segnala il montaggio-assemblaggio-microassemblaggio su linea; la lavorazione con strumenti vibranti nella lavorazione del legno, della plastica, della ceramica; le operazioni di taglio manuale, la stiratura a mano o con presse nel settore dell'abbigliamento, nelle lavanderie; la lavorazione delle carni: macellazione, taglio e confezionamento; la decorazione e rifinitura sul tornio; le operazioni di cassa in supermercato; il lavoro a videoterminale (limitatamente per i compiti di data-entry, cad-cam e grafica).
Tra le altre professioni a rischio bisogna considerare anche i musicisti professionisti, i massofisioterapisti e i parrucchieri.
 
     
 
 
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